La presenza divina nello yoga e in Teresa d’Avila (TA), conferenza del dottor Lwiis Saliba su Zoom, mercoledì 17/11/2021
La presenza divina nello yoga e nell’AT
Vediamo che Mourani, il ricercatore di mistica cristiana e comparata, ha ragione in ciò che dice qui, e ciò che abbiamo citato dalle testimonianze e dai testi dell’AT conferma ciò che ha detto. Continuiamo con lui in quello che dice sulla meditazione dell’AT: “Non suggerisce di concentrarsi sulle verità della fede per estrarne il significato, né di usare l’immaginazione. Piuttosto, preferisce la presenza a cui corrisponde l’umanità di Cristo dalla parte del soggetto.
La meditazione dell’AT è lontana, molto lontana, da una sorta di cogitazione su dogmi e teorie, anche se sono direttamente legati alla sua fede. La sua meditazione è semplicemente un’esperienza della presenza divina/personale. E questo è ciò che lo Yoga chiama Ishta Devata come menzionato sopra. Questa contemplazione della presenza non è diversa da ciò che il Bhakti Yoga sostiene e insegna, ma è il suo nucleo e la sua essenza.
Nella sezione dei voti Nyam degli otto arti dell’Ashtanga Yoga di cui parla Pathanjali, il quinto voto o impegno corona i suoi predecessori. È la sottomissione al Signore Ishvara Pranidhana. Swami Chidananda lo spiega così: “Abbandonare la materia al Signore significa porsi in Dio, cioè vivere sempre nella coscienza della presenza divina. E anche il peggiore degli uomini diventa umile e cambia alla presenza della divinità”.
Qui la presenza divina, e soprattutto la necessità di viverla, appare la stessa nell’insegnamento dello Yoga come in quello di Teresa. Chidananda continua: “Consegnare la domanda al Signore porta a un atteggiamento coerente di devozione e di amore divino, di fede e di umiltà. Non è possibile sentirsi egoisti mentre cerchiamo di vivere la presenza divina.
Vivere la Presenza Divina dentro e fuori la contemplazione, cioè nella vita quotidiana, è una costante della spiritualità e dell’esperienza di Teresa, che quasi coincide con l’insegnamento Yoga della sottomissione al Dio Ishvara Pranidhana.
L’amore divino nello yoga e nella mistica
Dall’amicizia del Signore, il ricercatore spirituale passa all’amore divino e poi a ‘Ishq’ (Amore unificante). L’amore divino è un fenomeno conosciuto dai mistici della maggior parte delle religioni, specialmente dalle donne mistiche, ed erano conosciute come le amanti di Dio. Nell’Islam, Rabi’a Al-Adawiya era famosa in questo campo, così come Teresa d’Avila e Teresa di Gesù Bambino nel cristianesimo, e Mâ Ananda Mayî nell’induismo. Una delle più famose era Radha, menzionata sopra, e le sue amiche Gopis, amanti del Signore Krishna.
Rabi’a Al-Adawiya (185 AH) definisce ‘ishq’ come: “Un nome per ciò che è andato oltre i limiti dell’amore”.
Ibn Arabi distingue diversi gradi nella relazione dell’aspirante con Dio, l’ultimo dei quali è ‘Ishq’. Amore, affetto, amore per Widd e Ishaq.
Lo yoga della pietà, a sua volta, distingue i modelli e i gradi di relazione con Dio: la già menzionata amicizia, l’amore parentale Vatsalya: il Signore è come un bambino/Dio. Come i due bambini Krishna e Rama nell’induismo e il bambino Gesù nel cristianesimo.
E l’ultimo dei gradi: l’amore, che nella terminologia sanscrita è Mathurya: il sentimento dell’amante verso la sua amata.
Le stazioni dell’amore nel Bhakti Yoga
Chaytanya (1486-1533), uno dei più importanti esponenti del Bhakti Yoga nel misticismo indiano, distingue cinque gradi o “stazioni” di Bhakti (pietà):
1 – La stazione di pace Shanti in cui l’adoratore considera il Signore come il suo Dio supremo e sperimenta la contrizione verso di Lui, così come una profonda pace e contentezza dovuta alla sua certezza di ottenere la Sua grazia.
2 – La stazione di servizio, dâsya, dove l’adoratore si presenta come un servo del Signore, si sottomette a Lui e si dà totalmente a Lui.
3 – La stazione dell’amicizia, sakhya: l’adoratore si considera amico di Dio.
4- Stazione paterna: l’adoratore si sente verso il Signore come un padre si sente verso suo figlio.
5- La stazione di Mathurya Love. Questo è l’amore di Radha e delle Gopi per il Signore Krishna.
Narada dice nei Bhakti Sutra, il testo fondatore dello yoga della pietà, a proposito di questo amore e della sua superiorità su tutti gli altri sentieri (lavoro e conoscenza…): “Come un uomo non soddisfa la sua fame conoscendo il cibo e nemmeno guardandolo, così non è soddisfatto della conoscenza di Dio o della percezione di Dio finché il suo amore non dimora in lui”. (Bhakti Sutra 2/2).
Narada cita l’esempio tradizionale indù dell’amore di Radha e di tutte le altre Gopi per il Dio Krishna sull’amore ‘Ishq’, dicendo: “Questo è l’amore delle Gopi per Krishna” (Bhakti Sutra 1/14).
Ma Narada avverte, questo non è solo un amore femminile, o l’amore di una donna per un uomo: “Sebbene adorassero Dio come un amante, non dimenticarono mai la Sua natura divina” (Bhakti Sutra 1/15).
Narada considera che ignorare questa natura divina è un peccato contro la castità: “Altrimenti avrebbero commesso il peccato di non castità” (Bhakti Sutra 1/16).
L’amore divino non è un sostituto dell’amore umano che abbiamo perso o che non abbiamo trovato all’inizio, ma piuttosto è il grado più alto dell’amore e il suo sublime, perché è privo di ogni desiderio di scambiare e condividere emozioni: “È la forma più alta di amore, perché non contiene il desiderio, la reciprocità che è in tutto l’amore umano” (Bhakti Sutra 1/17).
Amore divino in AT
L’AT non è estranea all’atmosfera di amore divino di cui parlano i saggi dello Yoga, ma è al suo centro. Il suo amore, e quello delle sue suore per Gesù, è una copia dell’amore di Radha e delle Gopi per Krishna.
Sentiamola insegnare alle sue suore e consigliarle: “Non vi chiedo di pensare al Signore o di analizzare i suoi attributi. Ti chiedo solo di guardarlo e di meditare su di lui (…) Si dice che una donna faccia questo davanti a suo marito quando il matrimonio è riuscito.
Lei dà loro un esempio di questa relazione: Maria Maddalena e Gesù.
Teresa non trascurava il maschile in questo aspetto femminile dell’amore del Signore, ma cercava sempre di investirlo nella propria contemplazione e nel suo insegnamento alle suore. Ascoltiamo come si rivolge a lui, con esaltata dolcezza e femminilità, nel suo libro ‘La via della perfezione’: “E tu, o Signore dell’anima mia, non hai odiato le donne quando eri nel mondo, ma le hai sempre aiutate con grande gentilezza, e hai trovato in loro un amore uguale e una fede più grande di quella degli uomini”.
La riformatrice carmelitana dovette lottare contro una tendenza patriarcale dominante nella Chiesa, che dava alle donne solo un ruolo e una posizione secondaria e subordinata nel campo spirituale.
Contro questa tendenza e altri scettici ha dimostrato la superiorità delle donne sugli uomini nella via della meditazione, dicendo nella sua biografia e attestando: “Il Signore ha dato le benedizioni soprannaturali della meditazione alle donne più che agli uomini”.
Per ulteriore conferma, ha attribuito questo detto al suo mentore, il già citato santo/mistico Peter Alcántara: “Questo è quanto ho sentito dire da Sant’Alcántara, e l’ho sperimentato io stessa: Vanno più lontano degli uomini su questa strada.
La meditazione sull’amore divino rallenta la mente
La meditazione TA è, per essenza e identità, la meditazione Bhakti/Amore. E la sua regola d’oro a questo proposito fu annunciata in uno dei suoi libri, dove disse: “La contemplazione si basa su molto amore, non su molto pensiero”.
Nello Yoga, la meditazione consiste proprio nel calmare la mente, e persino nel rallentare i processi mentali, come abbiamo visto con Pathanjali. L’assorbimento è uno stato di calma e di quiete. Ma come controllare una mente saltellante, selvaggia e irrequieta? “Con l’amore, ricordare Dio diventa naturale” dice il Bhakti Yoga. Con l’amore, ricordare o ripetere il nome di Dio ‘Japa’ diventa una cosa naturale che non richiede sforzo. In questo, lo Yoga della Pietà dice, spiegando il suo ragionamento: “Come può uno senza amore ricordare un’altra persona? Ricordarsi di Dio significa sperimentare l’amore nel cuore.
L’AT insegna lo stesso principio e meccanismo per fermare il tumulto del pensiero dicendo: “Ogni volta che la passione è suscitata e il dialogo d’amore è affrettato, lo sforzo intellettuale e tutte le forze dell’anima si fermano.
L’amore eccessivo trattiene i pensieri e l’amore divino, una volta risvegliato, porterà pace e conforto alla mente e al cuore. Da qui il comando della riformatrice carmelitana alle sue monache: “Non rinunciate a nulla che risvegli l’amore”.
E la relazione di amore divino continua a crescere tra Teresa e il suo sposo celeste. La sua contemplazione diventa un dialogo: lei gli parla e lui risponde. E quando le sue parole tacciono, la voce interiore la chiama. Al contrario, quando la sua salute si deteriora e lei soffre e diventa incapace di parlare, è lui che prende l’iniziativa. Dice nel Rapporto 36/2: “Soffrivo di forti mal di testa ma sentivo che questo non mi avrebbe impedito di praticare la meditazione. Allora il Signore mi disse: “Con questo vedrai la ricompensa del dolore”. Quando la tua salute non ti aiutava a parlarmi, ero io che ti parlavo e ti benedicevo.
Lo Sposo celeste viene a sostenerla e rafforzarla nell’ora del dolore e dell’angoscia. Una volta le disse: “Mangia, figlia mia, e sopporta ciò che puoi sopportare”. Mi dispiace e mi dispiace che tu stia sopportando tanta sofferenza, ma ora ti conviene”.
La parola “mi pento” attira la nostra attenzione, come quella di TA, che continua a commentare: “Il suo dire ‘mi pento di questo’ ha attirato la mia attenzione, perché secondo me non può ancora pentirsi di nulla”.
Gli dispiace di non poter fare nulla? Eppure è lui che ha guarito centinaia e migliaia di persone! La risposta finale viene dalle sue stesse parole: “Ti sta bene ora.
La sofferenza è come la gioia, uno strumento per ricordare Dio ed essere consapevoli della sua presenza permanente.
L’essere umano ricorda molto raramente le cose neutre che non lo impressionano, lo feriscono o lo compiacciono. Il Bhakti Yoga insegna che l’uomo non può ricordare un argomento che non conosce o una materia neutra. Tuttavia, può ricordare automaticamente ciò che gli ha causato dolore o piacere. Vedendo Dio negli strumenti che causano sofferenza o gioia, diventa più facile ricordare Dio. Il tormento aiuta a staccarsi dal mondo. La gioia aiuta a riconoscere la gratitudine e l’amore di Dio che la provoca.
Così abbiamo presentato il ruolo del dolore e del tormento nello yoga della pietà e in Teresa d’Avila, allora dov’è la gioia e qual è la sua posizione in ognuno di essi?